Cosa sono le cellule staminali

Quando si parla di cellule staminali si fa riferimento a cellule primitive non specializzate che, mediante un processo che prende il nome di differenziamento cellulare, hanno la capacità di trasformarsi in altri tipi di cellule. Proprio per questo motivo, esse vengono prelevate dai tessuti adiposi, dal cordone ombelicale, dalla placenta, dal midollo osseo e dal sacco amniotico per essere studiate e utilizzate dai ricercatori per la cura di diverse malattie.

Le cellule staminali presentano due caratteristiche specifiche: la pluripotenza e l’autorinnovamento.

Con pluripotenza si intende la capacità di originare tipi o linee cellulari mediante il differenziamento: una cellula staminale, tra l’altro, in fase di differenziamento ha la capacità di modificare la propria linea cellulare, cambiando il proprio programma di sviluppo (si parla, a questo proposito, di transdifferenziamento).

Con autorinnovamento, invece, si intende la capacità delle cellule staminali di dare vita a cicli replicativi potenzialmente illimitati senza modificare lo stadio differenziativo. Osservato per la prima volta nel 1963 nel corso di studi sul midollo osseo, l’autorinnovamento può essere completato con divisione asimmetrica obbligata, in base alla quale la staminale genera un’altra cellula staminale e una cellula che si differenzierà, o differenziamento stocastico, in base al quale la staminale genera altre due cellule staminali oppure due cellule che si differenzieranno.

Le cellule staminali dotate di potenzialità di differenziazione maggiore sono quelle che possono essere recuperate nel corso dello sviluppo a livello del feto e dell’embrione. In particolare, le cellule del nodo embrionale possono essere isolate dall’embrione preimpianto allo stadio di blastocisti e coltivate, così da originare migliaia di cellule embrionali staminali in grado di differenziarsi in tipi cellulari diversi.

La medicina rigenerativa di organi e tessuti danneggiati si basa proprio sulla ricerca relativa alle cellule embrionali staminali. Le cellule staminali, una volta prelevate, vengono mantenute all’interno delle banche di conservazione delle cellule staminali: qui sono conservate in contenitori di azoto criogenico in attesa di essere eventualmente impiegate.

La legislazione che norma l’azione di queste banche cambia da Paese a Paese e in funzione dell’uso previsto (allogenico o autologo) e della fonte di prelievo delle cellule (denti, sangue, cordone ombelicale, amniocentesi).

In Italia, per esempio, la legislazione impedisce che le cellule cordonali a uso autologo possano essere conservate in banche private, pur autorizzandone la destinazione in strutture estere.

La conservazione delle cellule staminali avviene, in genere, in celle di vapori di azoto (le cui temperature si aggirano attorno ai 180 gradi sotto zero) o di azoto liquido. Va detto che la conservazione autologa è vantaggiosa perché evita qualunque fenomeno di rigetto in presenza di autotrapianti di tessuti e organi. D’altro canto, in situazioni di malattie (per esempio in caso di leucemia), le cellule malate sono presenti anche nel campione conservato: è per questa ragione che nella maggior parte dei casi gli interventi chirurgici si basano su cellule staminali cordonali eterologhe, cioè provenienti da donatori che sono presumibilmente sani.

La conservazione delle cellule staminali viene adottata oggi perché si pensa che in futuro esse permetteranno di sconfiggere tumori, leucemie e linfomi e per trattare patologie ereditarie. Sono in corso studi e ricerche per risolvere problemi come la calvizie e la sclerosi multipla.

Fonti delle cellule staminali

Banche di conservazione delle cellule staminali

 

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